Il Poeta del Bengala - Tucano Viaggi Skip to main content

A Kolkata, seguendo le orme di Rabindranath Tagore, poeta, artista e premio Nobel per la letteratura. Nella casa-museo oggi diventata università, nella scuola da lui costruita in un ashram appena fuori città, nel bungalow sull’isola Gosaba, tra mangrovie e canneti, dove scrisse i suoi versi più belli...

 

Testo di Elena Bianco

 

Kolkata (un tempo Calcutta), capitale del Bengala Occidentale spesso trascurata dalle rotte turistiche in India, va ben oltre il suo passato di cuore del Raj britannico. Soprattutto oltre il cliché de La città della gioia di Dominique Lapierre. La più grande città coloniale d’Oriente è oggi la capitale culturale dell’India, anche grazie all’eredità del suo figlio più famoso, Rabindranath Tagore, poeta, artista poliedrico, premio Nobel per la letteratura nel 1913, plasmatosi nel Rinascimento bengalese, movimento riformista socioculturale ottocentesco.

Tagore a Kolkata è un’icona di potenza intellettuale intatta. Lo si capisce visitando la sua bella casa, diventata museo grazie al Pandit Nehru, aggirandosi fra i suoi duemila libri, i mobili, le sculture, le fotografie, i quadri che dipinse. Costruita nel XVII secolo dal nonno del poeta, il Principe Dwarkanath Tagore, la dimora è anche sede cittadina dell’Università tagoriana. Qui, ogni anno, il 7 maggio si celebra Poila Baisakh, il compleanno di Rabindranath: esser parte di questa celebrazione è il momento più suggestivo per immergersi nella sua poetica.
In città, i lasciti del colonialismo sono evidenti nei maestosi edifici vittoriani che trovano la summa nel Victoria Memorial, colossale mix fra neoclassico e stile Mughal; nella sontuosa Government House del XVIII secolo, residenza dei Viceré; nel Writers’ Building e nell’Asiatic Society, scrigno di libri rari oggi gestito dall’intellighenzia bengalese.

Ray, padre del cinema d’autore indiano

È però un edificio più recente, degli Anni 80 del Novecento, il “testimone” dell’anima intellettuale di Kolkata e dell’eredità tagoriana. Il Nandan, moderno centro di studi cinematografici, è sorto nel nome di Satyajit Ray, il regista padre del cinema d’autore indiano, che tanto si ispirò al Neorealismo italiano (soprattutto al De Sica di Ladri di Biciclette). Al Nandan, ogni anno a novembre, si tiene un importante Festival cinematografico e Bollywood, con la sua estetica onirica fatta di coreografie, musiche, superstar, lustrini sembra lontanissima.
Non a caso Satyajit Ray, unico regista indiano a vincere un Oscar, è stato fortemente influenzato da Tagore, unico scrittore indiano a vincere il Nobel. Ray diresse con grande delicatezza un docu-film sulla vita del poeta e diversi film da scritti tagoriani, che toccavano temi peculiari, come il mondo intellettuale femminile; d’altro canto, il regista studiò alla scuola di Santiniketan, vera eredità del poeta per le generazioni future, immergendosi nell’umanesimo tagoriano e nei valori di libertà, progresso sociale e emancipazione femminile figli del Rinascimento Bengalese.

Alla scuola di Tagore

Con una gita fuori porta a Santiniketan, a nord di Kolkata, si respira l’afflato della Visva Bharati University, dal 2023 patrimonio Unesco, che il poeta realizzò in un ashram appartenuto a suo padre. Il ciclo di studi parte dai cinque anni e fin dall’inizio concretizza la visione di Tagore, da sempre insofferente alle costrizioni. All’aperto sotto gli alberi, i ragazzi scelgono liberamente gli insegnamenti, che comprendono la musica, la danza, le arti visive della prima Accademia non britannica, la coltivazione della terra per sviluppare anche attraverso conoscenze applicate le proprie inclinazioni. Un metodo che ispirò persino Maria Montessori, che visitò la scuola ed ebbe un lungo carteggio con Tagore. Successivamente, gli studi universitari sono equiparati al programma statale. Tutti, grandi e piccoli, ogni mattina si riuniscono nel grande padiglione liberty a meditare: fuori è scritto: “Egli (Dio) è conforto della mia vita, gioia nella mia mente, pace nella mia anima (Rabindranath Tagore)”.

La storia antica sulla terracotta

Tornando verso Kolkata, sulle orme di Tagore si viene stupiti a Bishnupur, dove gli occhi sembrano essere ingannati. Il Ras Mancha è un tempio hindu, ma è a piramide tronca come un tempio dei Maya e totalmente coperto di formelle di terracotta che narrano miti dei grandi poemi epici, il Ramayana e il Mahabharata. La sua forma, unica in tutta l’India, è un mistero: si sa che fu costruito nel 1587 da Bir Hambir, sovrano della dinastia Malla che governò per un migliaio di anni sul Grande Bengala. Sotto le sue arcate per secoli gli hindu fecero danze sacre a Krishna e Radha, tanto da far fiorire una scuola di musica classica che influenzò le prime composizioni del giovane Tagore, perché il suo insegnante di musica veniva da essa. A Bishnupur altri templi di terracotta hanno forme stupefacenti: come lo Shyamrai, con cinque torri che lo rendono simile a una chiesa barocca. O il Jor Bangla, con il tetto e i cornicioni ricurvi, come le antiche case bengalesi. Meraviglie che riemergono dalla vegetazione e sanno di scoperta (turisti: non pervenuti).

Universi liquidi

Una scoperta diversa è percorrere con vecchie barche, che odorano di legno e pece, Sunderbans, il mondo liquido a sud di Kolkata, il cui nome significa “splendida foresta”. Come splendide sono le parole dedicate a questo luogo da scrittori ispirati come Salman Rushdie ne I figli della mezzanotte” e Amitav Gosh, bengalese, ne Il paese delle maree. Il molo del villaggio di Gotkali è un finis terrae, che introduce al gigantesco estuario del Gange e dello Hooghly, confine fluttuante fra India e Bangladesh, 10.000 km quadrati di canali, paludi, isole di limo dell’Himalaya che, al tramonto, risplendono come una seta argentea. E, come una grande capigliatura selvaggia che tutto copra, appare la più grande foresta di mangrovie al mondo, oggi patrimonio Unesco.
Il tempo in barca ondeggia sospeso fra l’acqua e un cielo lattiginoso, nella lentezza ipnotica delle sponde alte di Gosaba, l’isola più popolata, che scorrono durante la navigazione. Tagore, attento promotore dello sviluppo rurale, soggiornò a lungo in un bungalow (visitabile) vicino a Gosaba, che battezzò con un acronimo: goru – mucca, sap – serpente, bagh – tigre. La popolazione variopinta di donne in sari, bambini con la divisa di scuola, uomini in dhoti reitera, oggi come allora, i gesti quotidiani: la pesca dei gamberi, la scuola, il lavoro per rinforzare l’argine.

Il villaggio delle vedove

Addentrandosi verso sud, si arriva a Dayapur, l’ultimo villaggio separato da reti di cinta dal Sunderban National Park, dove la natura poderosa prevale su tutto: 220 specie di uccelli, daini, cervi, tartarughe, delfini, ma anche il volto minaccioso dei coccodrilli, cobra, squali e soprattutto la tigre del Bengala. Scorgerla è difficile, ma la si avverte come presenza maestosa, che detta i ritmi e i modi di vivere. Dayapur ha un volto salgariano, le case col tetto di paglia, i laghetti dove pescare e lavare i panni, le risaie, i fiori di ibiscus e i gigli che accendono di rosso e arancio il verde lussureggiante. L’altra sua faccia è quella del “villaggio delle vedove”, dove le donne si vestono a lutto ogni volta che gli uomini vanno a pescare di frodo o a raccogliere il miele nella giungla. Ovunque, sorgono altarini e offerte a Monbibi, la dea della foresta, soprannaturale difesa agli attacchi della tigre. Altro fragile baluardo, è la gomma di una maschera a forma di volto umano, che viene messa sulla nuca, come tanti Giano bifronte, perché le tigri attaccano solo alle spalle. La barca resta l’unico modo davvero sicuro per addentrarsi in questa vasta solitudine di brume, interrotta solo ogni tanto da una fragile canoa di pescatori. Un ecosistema primordiale che corona il grandioso patrimonio culturale bengalese, bene descritto da Gopal Krishna Gokhale, leader del movimento indipendentista indiano a fine ‘Ottocento: “Quello che il Bengala pensa oggi, l’India lo pensa domani e il resto del mondo il giorno dopo”.

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Elena Bianco

Piemontese d’origine, milanese di nascita, veneziana d’adozione. D’istinto ha sempre seguito le sue passioni: la laurea in filosofia con specializzazione in Comunicazioni Sociali, il diploma...