Sul colle dell’Assekrem, tra le rocce e le sabbie del Sahara, sulle tracce del celebre Padre. Portava, sulla veste, un grande cuore di stoffa rossa sormontato da una croce e qui, nel silenzio più assoluto, riusciva a parlare con Dio.
Testo di Willy Fassio
Tra le alte rocce del massiccio dell’Hoggar, sul colle dell’Assekrem, nel cuore del Sahara algerino, sorge l’eremo di Charles de Foucauld, il fondatore dell’ordine dei Piccoli Fratelli. Certamente il luogo fu prescelto per l’assoluto silenzio e la possibilità di parlare con Dio. Qui nelle fredde notti sahariane il cielo si adorna di miliardi di stelle, così lucenti che pochi altri luoghi al mondo consentono questa divina osservazione, resa tale dall’assoluta oscurità che per centinaia di chilometri sovrasta le montagne dell’Hoggar e il circostante deserto. Charles de Foucauld nasce in Francia nel 1858 da una famiglia nobile. Orfano all’età di sei anni, viene adottato dal nonno, per il quale conserva un grande affetto e un grande ricordo legato alla dolcezza con cui venne allevato. Scrive infatti: “Ho sempre ammirato la grande intelligenza di mio nonno, la cui tenerezza infinita ha circondato la mia infanzia e la mia giovinezza di un’atmosfera d’amore. Ne sento sempre con emozione il calore”. A vent’anni, terminata la Scuola Militare, diventa ufficiale. Con la morte del nonno, riceve una cospicua eredità. È ben poco ligio al dovere, amante dei piaceri e della vita comoda.
Nel 1880 viene inviato in Algeria: il Paese lo affascina, i meravigliosi palmeti, le piante di alloro, gli aranceti, gli uomini avvolti nei bianchi burnus, le donne con i caftani colorati, i mercati, i cammelli al pascolo, l’immensità del deserto, la poesia delle dune. Tutto ciò lo incuriosisce e gli fa amare questo Paese così diverso dalla Francia natìa. Gli piace vivere al campo e dormire sotto una tenda mentre detesta la vita nella guarnigione. Terminata la missione, si ritrova in Francia chiuso tra le mura e la disciplina di una caserma. Scrive: “Detesto questa vita… preferisco di gran lunga approfittare della mia giovinezza viaggiando; in questo modo almeno mi istruisco e non perdo il mio tempo”. Nel 1882 lascia definitivamente l’esercito per rincorrere il suo sogno di grande viaggiatore. Vuole conoscere, studiare, approfondire usi e costumi. Nel 1883 intraprende un pericoloso viaggio esplorativo in Marocco, percorrendo oltre tremila chilometri a piedi, che gli vale una medaglia d’oro della Società Geografica di Parigi. A Parigi inizia a frequentare la chiesa di Saint Agustin, pur non essendo credente. Scopre che quel luogo lo riempie di una strana inquietudine e, al contempo, di una grande serenità; scopre di ripetere a sé stesso una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa’ che io ti conosca!”. Nella chiesa conosce l’abate Henri Huvelin, oratore con un gran seguito di fedeli. Nell’ottobre del 1886, a 28 anni, ritrova la fede. Da quel momento l’abate Huvelin diventa il suo consigliere spirituale.
Ho avuto l’occasione di sostare nella cappella della chiesa di Saint Agustin, dove Charles ha vissuto la sua conversione e, col pensiero, sono tornato ai primi Anni Settanta. In uno dei miei primi viaggi, infatti, avevo raggiunto Tamanrasset attraverso la Tunisia, con una scassata Land Rover. Uun viaggio di 2.500 chilometri, passando per la pentapoli di Ghardaia, con la città santa dei berberi mozabiti Beni Isguen, ed El Menia, l’antica El Golea, sosta obbligata per chiunque segua le tracce di Padre De Foucauld. Qui è stata costruita la più antica chiesa cattolica del Sahara e, di fronte, sorge la tomba di Padre Charles de Foucauld: solitaria, ai margini dell’oasi, attorniata da una distesa di sabbia dorata. All’epoca, qui terminava l’asfalto e iniziava la pista che, attraverso l’altopiano di Tademaït raggiungeva, con un percorso aspro e selvaggio di 1.200 chilometri, tra pietraie e canyon, l’oasi di Tamanrasset, situata a 1.400 metri ai piedi del massiccio dell’Hoggar. Proseguendo verso gli acrocori dei Tezuyeg, spettacolari pareti a canne d’organo che sovrastano la pista, con ripidi e stretti tornanti, raggiunsi l’Assekrem, il colle a 2.726 metri nella catena dell’Atakor. Poi, con un breve percorso a piedi, raggiungevo la sommità del colle dove sorge l’eremo di Padre Charles de Foucauld, la piccola cappella di roccia nera da lui costruita nel 1911. A Tamanrasset, all’ombra di grandi tamerici, si trovano ancora il fortino e la prima casa in cui abitò.
Nel 1914, allo scoppio della guerra tra Francia e Germania, Charles si offre di partire per il fronte, ma il generale Laperrine gli ordina di restare a Tamanrasset e di costruire un forte che offra un riparo per la popolazione in caso di un attacco dei Senussi, alleati dei turchi e dei tedeschi.
A Tamanrasset è molto esposto, gli ufficiali di una postazione vicina lo sollecitano a raggiungerli, ma la sua missione è quella di rimanere accanto a quegli uomini, che lo avevano accettato tra loro. La sera del primo dicembre 1916 è solo. Aveva sentito parlare di un complotto contro di lui, ma non gli aveva dato importanza. In una ventina si presenteranno alla sua porta: viene assalito e ucciso. Il capo tuareg che lo aveva accolto scriverà alla sorella di Charles dopo la sua morte: “… dal momento in cui ho avuto notizia della morte del nostro amico, vostro fratello Charles, i miei occhi si sono chiusi. Tutto è buio per me: ho pianto e ho versato molte lacrime e sono in grande dolore… Charles, il marabutto, l’uomo di Dio, non è morto solo per voi, è morto anche per tutti noi…”
All’epoca avevo vissuto questo incontro con i luoghi di Padre Charles de Foucauld come un semplice episodio della mia avventura sahariana. Mai avrei immaginato che, tanto tempo dopo, avrei iniziato a organizzare viaggi sulle tracce di quella coinvolgente esperienza. Ebbi più volte l’occasione di ripercorrere pressoché integralmente l’itinerario attraverso i luoghi dove visse e operò Padre Charles de Foucauld. Uno mi è rimasto particolarmente impresso: l’eremo nell’oasi di Beni Abbés, nel Grand Erg Occidentale, un luogo che nella sua disarmante semplicità emana un fascino del tutto particolare. La sua chiesetta, con il pavimento di sabbia rossa, le pareti di mattoni crudi fatti con un impasto di argilla e paglia, i diafani affreschi dello stesso Charles, è un luogo di grande spiritualità e di profondo raccoglimento. Sono ormai passati molti anni dal giorno in cui ho avuto la fortuna di conoscere Padre Ermete, originario di Arezzo, dell’ordine dei Piccoli Fratelli. Ho soggiornato presso l’eremo dove il sacerdote aveva ricavato una serie di piccole stanzette affacciate sul cortile. Qui, all’ombra di un’acacia, nel silenzio e nella pace del luogo, mi ero spesso attardato a parlare con lui. Mi raccontava, nel più puro spirito della regola di Charles de Foucauld, il significato della sua scelta. Faceva il muratore ed era orgoglioso di insegnare i trucchi del mestiere agli abitanti del luogo. Tra le curiosità, mi ricordo la sua grande passione per il formaggio Parmigiano. Aveva escogitato un sistema alquanto ingegnoso per conservarne la fragranza e l’integrità in un clima non certamente adatto: aveva costruito una piccola scatola con la corteccia delle palme, avvolgeva il formaggio in un panno, sotterrava il tutto nella sabbia e, di tanto in tanto, la innaffiava in modo che inumidisse lo spazio circostante e tenesse il formaggio al fresco. Mi raccontava che, come lo stesso Charles, non aveva mai voluto imporre la sua religione e che la sua era una presenza di solo aiuto fraterno. Questo gli guadagnò la stima e l’amicizia delle popolazioni berbere e tuareg del luogo.
Ritornando a Charles de Foucauld, occorre ricordare anche la meritoria opera legata al dizionario tuareg, un attento e meticoloso lavoro che ci ha concesso di meglio comprendere la straordinaria e complessa cultura tuareg. Lo chiamavano “il marabutto” (uomo di Dio) dal cuore rosso, a causa del grande cuore di stoffa rossa, sormontato da una croce, che portava sulla veste. Non aveva paura di soffrire. Papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato venerabile nel 2001 e la sua beatificazione ha avuto luogo il 13 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI.