Chardonnay e Cabernet franc, Syrah e Sauvignon blanc: i vini sono un’eccellenza del Sud Africa. Le cantine migliori? Concentrate nel raggio di 150 chilometri da Città del Capo. I numeri? 120 mila ettari di superficie vitata, una produzione di oltre 400 milioni di litri di vino e quasi 300 mila persone impiegate nel settore. Ma soprattutto, cantine situate in una delle regioni più spettacolari del Paese: tutta da scoprire.
Testo di Marco Santini
Storicamente le vigne più vocate e i grandi vini del Sudafrica erano confinati nella regione del Capo di Buona Speranza, intorno a Città del Capo. In questo inizio di terzo millennio, non è più così: le Winelands, le regioni vinicole del Sudafrica, conquistano nuovi orizzonti e, in alcuni casi, nuovi apici di qualità. Il paesaggio vitivinicolo di questa parte di Africa australe è, fra l’altro, di una bellezza unica, tale da farne una destinazione vera e propria per il viaggiatore curioso e, non solo, per gli appassionati di settore.
La prima vendemmia dell’Africa australe venne completata nel 1659 da Jan van Riebeeck che, dall’Olanda, aveva guidato i primi coloni. Fu lui il primo vigneron del Capo. Un terroir caratterizzato da scisto e argilla depositate fra i 500 e i 1000 milioni di anni fa. Il clima è mediterraneo, quasi perfetto; con inverni giustamente miti e piovosi ed estati soleggiate. Poi c’è il vento, il famoso Cape Doctor, un potente scirocco capace di scongiurare l’umidità e le muffe.
Eppure, i primi passi dell’avventura enologica del Sud Africa, non furono esaltanti. Quando, nel 1679, arrivò il secondo governatore della giovane colonia boera, Simon van der Stel (che darà il nome a Stellenbosch, la perla delle regioni vinicole), scrisse che il vino locale era orribile a causa di un’acidità perfida, che feriva la bocca. Per porre rimedio piantò le vigne a Constantia, sulle pendici orientali di Table Mountain creando, a due passi da Città del Capo, la più rinomata casa vinicola della storia del Paese. Una proprietà di bellezza spettacolare, oggi divisa in Klein Constantia, Groot Constantia e Buitenverwachting. Qui si produceva quel celebre Vin de Constance, un vino botritizzato che veniva spedito a Napoleone durante il suo esilio a Sant’Elena (1815-1821) e che, dal 1995, è tornato in produzione.
Un italiano alla Meerlust
Concentrate nel raggio di 150 chilometri da Città del Capo, le regioni vinicole sudafricane si estendono su 120 mila ettari di superficie vitata. Con una produzione di oltre 400 milioni di litri di vino prodotti e quasi 300 mila persone impiegate nel settore, rappresentano una voce significativa nell’economia del moderno Sud Africa e sono una forte attrattiva per molti investitori stranieri che, stregati dalla bellezza della zona, scelgono di trasferirsi a Stellenbosch o a Franschhoek e aprire una casa vinicola. Non mancano gli italiani, come Giorgio dalla Cia, arrivato nel 1974 per conto della Stock di Trieste, col compito di dirigere una loro cantina per la produzione di liquori. Comprese le straordinarie potenzialità di questa terra, si legò per 25 anni alla prestigiosa casa Meerlust. Con il suo Rubicon, nel 1980, rivoluzionò la filosofia della vinificazione in Sud Africa, scegliendo di andare contro corrente rispetto ai tempi e producendo quantità meno abbondanti di vini eccellenti, invece di grandi quantità di vini mediocri. Il Rubicon è un taglio bordolese (Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc) estremamente elegante, che continua a essere riferimento per tutta l’industria enologica del Paese.
Un compartimento all’avanguardia a livello mondiale: i viticultori e gli agronomi sudafricani sono stati, infatti, fra i primi a impiegare le tecnologie satellitari in vigna. Sia per la rilevazione della composizione del terreno, sia per valutare le condizioni termiche e quindi per determinare quali vitigni piantare e dove. Un esempio brillante è la Delaire Graff Estate di Stellenbosch, acquistata nel 2003 da Laurence Graff, il magnate dei diamanti. “Qui la tecnologia Gps è stata utilizzata per ottenere un modello tridimensionale dalla zona nella quale si volevano piantare le nuove viti”, spiega Kevin Watt, lo specialista che ha seguito questo progetto per Delaire. “Contemporaneamente sono stati eseguiti i rilevamenti geologici del terreno e una mappatura mesoclimatica della proprietà. Grazie a una speciale fotocamera montata su un aereo e controllata da un sistema Gps, abbiamo ottenuto fotografie in quattro regioni diverse dello spettro: rosso, verde, blu, infrarosso. Queste immagini producono un grafico che evidenzia le micro-differenze fra un filare e l’altro in fatto di maturazione”. Un processo questo, definito viticoltura di precisione.
Le regioni del vino
Le regioni vinicole sudafricane sono fra le più belle del mondo e meritano un’occhiata da vicino, in particolare: Stellenbosch e Constantia, la storia; Franschhoek, la bellezza; Walker Bay e Swartland, il futuro. Stellenbosch, con i suoi colli segnati dall’ordine preciso dei filari, coronati da una parte dalle cime rocciose e dall’altra dall’oceano Indiano, è la principale regione vincola del Sud Africa. Punteggiata dalle antiche architetture in stile coloniale-olandese del Settecento, si distende intorno all’omonima cittadina, fra i principali centri universitari del Paese. Atmosfera vivace, edifici in stile, viali orlati di querce e giacarande, negozi ed empori, che sembrano uscire da un libro di storia.
Il luogo degli elefanti
Franschhoek, in passato si chiamava “Oliphantschoek”, il luogo degli elefanti, per via delle centinaia di branchi di pachidermi che la abitavano. Poi, la terra venne data in concessione agli ugonotti in fuga dalle persecuzioni in Europa. L’allora governatore boero ebbe un’idea luminosa per rilanciare la produzione enologica del Capo: terra in cambio di conoscenza enologica. Oggi è la capitale gastronomica del Sud Africa, e ha mantenuto, anzi esaltato, il sapore francese della sua storia, diventando così una importante destinazione turistica con una qualità della vita invidiabile. Fra le molte proprietà che si contendono a fior di milioni gli ultimi brandelli di terra disponibile, spicca la tenuta dell’Ormarins di proprietà della famiglia Rupert dove, oltre a provare lo strepitoso Cabernet franc in purezza, si può visitare il museo dell’automobile che ospita una delle maggiori collezioni private d’auto d’epoca al mondo.
Walker Bay e dintorni, ovvero vino e balene. La cittadina di Hermanus è passata in pochi anni da villaggio sonnacchioso di pescatori a una vibrante enclave dove si trasferiscono molti sudafricani stanchi dei problemi delle grandi città. È uno dei migliori posti al mondo per osservare i cetacei senza dover salire a bordo di una barca. Fra giugno e dicembre, le balene franche australi si spingono fino a pochi metri dalla costa. Sono proprio le acque gelide che ospitano questi giganti, a essere responsabili del microclima che caratterizza una delle più interessanti e nuove aree vinicole sudafricane. I vini di Walker Bay, essenzialmente Pinot nero e Chardonnay, sono completamente diversi da quelli originati nelle regioni classiche. Più freschi, fini ed eleganti, rappresentano la nuova frontiera dell’enologia australe. Fra le cantine da non perdere: Bouchard Finlayson, Creation Wines, Hamilton Russel Vineyard e gli spettacolari Pinot Noir e Chardonnay della piccola Storm Wines, nella sotto-zona di Hemel-en-Aarde Valley. I nuovi confini – Breede Valley River, Robertson, Ceres e Cape Agulhas, sono sempre più a est, verso il punto più a sud del Continente e l’Oceano Indiano, dove la bellezza del paesaggio fa da quinta a terroirs capaci di dare vita a vini eccellenti, in particolare Sauvignon blanc. La cittadina di Robertson, con le sue atmosfere sospese, è la base ideale per andare alla scoperta di questa regione.
Swartland, da sempre considerata la “zona industriale” del vino africano, è una regione di rara bellezza, situata a nord di Città del Capo, a ridosso della selvaggia costa occidentale. Qui nascono Syrah potenti ed eccessivi, che devono la loro struttura al clima più torrido. Si tratta di una zona dove è più facile pensare alla quantità che alla qualità. Proprio questa è la sfida che ha raccolto Eben Sadie, il più rivoluzionario e progressista dei vinificatori sudafricani. Ex surfer, questo poeta del vino ha scelto di andare controcorrente: biodinamicità totale, tecnologia zero, lavoro manuale e tanto rispetto per la natura. “Una bottiglia dovrebbe portarti in un viaggio attraverso i sensi verso la natura. Dovrebbe raccontarti il luogo dove è nata, la terra e il sole che l’hanno creata. Ogni vino dovrebbe essere unico, figlio di un luogo e di una storia”. Il risultato? Due etichette incomparabili, totalmente figlie del terroir. Un rosso e un bianco, il Columella e il Palladium, che esprimono con una potenza e una vitalità straordinarie quel senso della possibilità, quella proiezione senza costrizioni verso il futuro che, meglio di ogni altro concetto, identifica il Sud Africa di oggi.