Misteri d’Arabia - Tucano Viaggi Skip to main content

I celebri minareti di Mecca e Medina e le sabbie del Rub al Khali. Le antiche oasi di Al-Ula e Khaybar e le tombe nabatee di Hegra. Ma anche coni vulcanici e campi di lava. Ed enigmatiche formazioni di pietre circolari, memorie degli albori della nostra civiltà. Il cui significato è ancora tutto da decifrare

 

Testo di Luigi Vigliotti

 

Sono sempre stato affascinato dai luoghi irraggiungibili tanto che, anni addietro, avevo persino valutato l’idea di farmi musulmano pur di visitare l’Arabia Saudita, all’epoca off limits per i viaggiatori stranieri. La mia idiosincrasia verso le religioni aveva però avuto il sopravvento, e mi ero accontentato di uno straordinario viaggio nello Yemen, per dimenticare i minareti della Mecca e le sabbie del Rub al Khali. Per motivi di lavoro (unica alternativa alla religione per visitare il Paese), il mio desiderio si è avverato e ho capito che, forse, sarebbe valsa la pena perfino una conversione.

 

Coni vulcanici e tunnel di lava

Dopo l’avvento del Profeta i viaggi verso Mecca o Medina portarono allo sviluppo delle arterie che, soprattutto da Nord, convergevano verso le città sante. Arterie già parte di un ben più antico sistema commerciale, utilizzato dalle carovane per trasportare l’incenso ed altre spezie verso i porti del Mediterraneo. E nella parte centrale di questo itinerario, compreso tra le antiche oasi di Al-Ula e Khaybar, meraviglie naturali, ma anche legate alla mano dell’uomo, hanno creato quell’insieme unico che lascia nel viaggiatore la sensazione di aver conosciuto la bellezza.

Sebbene gli stereotipi definiscano l’Arabia un paese di sabbia e ghiaia, in realtà esistono vasti campi di lava (harrat), la cui effusione è legata all’apertura del Mar Rosso, un giovane oceano tuttora in via di formazione. L’attività vulcanica mostra di essere stata attiva anche in epoca storica, con spettacolari colate laviche di tipo “aa” o “pahoehoe” (lave a corda). Documenti storici ed evidenze geomorfologiche, indicano la possibilità di passate eruzioni: una di esse, nel 1256, mise a rischio la vicina città santa di Medina. Proprio la zona di Khaybar presenta uno dei più grandi harrat. Coni vulcanici e tunnel di lava tra i più grandi del mondo, fanno da sfondo a spettacolari crateri come il Jabal al Bayda e il Jabal al Abyad, due vulcani dall’inusuale colore bianco con le pendici scolpite dall’azione dell’acqua, a testimonianza che le condizioni climatiche, oggi aride, un tempo dovevano essere molto diverse. Enormi uadi, ora secchi per gran parte dell’anno, raccontano di quando l’Arabia, all’inizio dell’Olocene, fosse un territorio fertile e ricco di acqua.

 

Desolazione titanica

Attualmente solo le oasi di Khaybar e Al-Ula ospitano palmeti coltivati dall’uomo, ma le pietre raccontano ben altro passato. I racconti di questi luoghi vantano nomi di illustri viaggiatori del calibro di Ibn Battuta e Beniamino di Tudela, che ci hanno lasciato le prime descrizioni di questa zona. Il primo che però compì degli studi dettagliati della regione fu il viaggiatore inglese Charles Doughty che, nella seconda metà del XIX secolo, la descrisse come: “a titanic desolation”. Doughty aveva un forte interesse verso la geologia e una passione per i vulcani, che aveva maturato dopo aver assistito all’eruzione del Vesuvio del 1872. Raccontò il suo viaggio in Travels in Arabia Deserta (1883), pietra miliare nella narrativa di viaggi, che Lawrence d’Arabia definì “una bibbia nel suo genere”.

Dopo Doughty pochi occidentali hanno avuto la fortuna o sfortuna, a seconda dei punti di vista, di visitare questa regione dalle caratteristiche sia naturalistiche, sia antropo-archeologiche da poter meritare un inserimento nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità. Tra questi, è già inserita Mada’in Saleh, conosciuta anche come Al-Hijr o Hegra, il più grande insediamento del regno arabo dopo Petra. La sua origine risale al I secolo d.C., ma in tempi antichi abitata da Thamudeni e Nabatei e occupata anche dalle legioni di Roma. Il deserto circostante, con antichi affioramenti di arenaria che spuntano dalle sabbie, offre un panorama struggente, specie quando il sole tramonta.

I villaggi-fantasma di Khaybar e Al-Ula hanno finalmente attirato l’attenzione delle autorità. Anticamente, Khaybar era un’oasi abitata da ebrei e fu conquistata da Maometto nel 628, dopo una celebre battaglia, causata probabilmente dalla fastidiosa concorrenza commerciale che Khaybar esercitava sui traffici di Medina. Secondo alcuni, poteva essere anche stata la sede di una delle leggendarie dieci tribù perdute di Israele.

 

Le opere degli uomini antichi

Sebbene le rovine dei villaggi siano di grande interesse, ben più rilevante è il fascino di antiche e misteriose strutture note ai beduini locali come “le opere degli uomini antichi”. Segnalate per la prima volta nel 1927 da Percy Maitland, tenente della British Royal Air Force, che le osservò durante ricognizioni aeree sul deserto della Giordania, sono rimaste sconosciute fino ai nostri giorni e solo con l’avvento delle immagini satellitari fruibili attraverso Google Earth sono state riconosciute in modo più sistematico. “Enigmatiche formazioni di pietre circolari, che ricordano quelle che si trovano in Europa, sono sparpagliate in questo arido paese su colline e valli lontane da abitazioni umane” così le descriveva nel 1967 un articolo pubblicato dal Sydney Morning Herald.

L’uso o la finalità di queste strutture è, almeno in parte, ancora da decifrare. In alcuni casi, si tratta quasi sicuramente di trappole per animali (kites, aquiloni), recinti in pietra di età neolitica, con forme che ricordano proprio degli aquiloni, con dimensioni e geometrie che, viste dall’alto, rimandano alle misteriose Linee di Nasca del Perù. Non di rado presentano muri che raggiungono i 2 o 3 chilometri di lunghezza.

Secondo alcuni, queste trappole non erano progettate solo per catturare e poi uccidere animali, ma potrebbero rappresentare un primo tentativo di addomesticarli. Altre strutture, più piccole, ma sempre con muri lunghi decine di metri, avevano funzioni funerarie (keyholes e pendants). Spesso allineate in gruppi, ricordano forme umane stilizzate, che guardano verso il cielo. Alcune sono allineate lungo Funerary Avenue il cui significato è ancora da decifrare. Le strutture più misteriose si chiamano gates (cancelli), e il loro utilizzo sfugge a qualunque tentativo di classificazione. Rettangoli di pietra che raramente superano i 150 metri di lunghezza, anche se alcuni raggiungono i 500 metri. Sono quasi esclusive della zona di Khaybar e la loro età è ignota, così come ignoti restano i loro costruttori. Ogni possibile spiegazione sul loro utilizzo si scontra con uno degli esempi più eclatanti: quattro gates costruiti in parallelo sulle pendici di un vulcano. Una mole di lavoro, apparentemente inutile, per realizzare opere che richiamano alla memoria misteriosi monumenti che hanno punteggiato gli albori della nostra civiltà.

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Luigi Vigliotti

Abruzzese, ma bolognese di adozione, appassionato viaggiatore, ha coniugato la propria formazione professionale di geologo, perfezionata con borse di studio nelle università della Columbia e di...