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Non si può prevedere da che parte arrivi la corrente. Chi sceglie di attraversare il lago Titicaca, 8mila 372 chilometri quadrati di acque profonde quanto l’Atlantico al largo del Massachusset, sa che il vento non dà tregua. In quest’ampia depressione dell’Altopiano andino tra Perù e Bolivia, a 3mila812 metri sul livello del mare, la traversata dalla cittadina di Puno parte dolce tra rive rassicuranti coperte di totora, la pianta tipica del lago, per farsi più difficoltosa man mano che si abbandona la costa. Superata la baia di Puno, oltre la penisola di Capachica, si spalanca lo specchio blu intenso del lago punteggiato di isole brulle a tutta prima disabitate, sullo sfondo imponente della Cordigliera Real innevata, già in territorio boliviano.

Perù lago Titicaca. Foto di Michelelianza

 

Le isole del Titicaca sono 34, grandi e piccole, tutte variamente abitate da popolazioni di etnia quequa, la stragrande maggioranza, e da quel che resta degli aymara, antico popolo sopravvissuto agli Inca prima e ai conquistadores, poi, che ora vive solo in questa zona. Ma non è il solo elemento che qualifica il Titicaca come un angolo di Perù autentico, altrove distrutto dalla colonizzazione, e per ora ancora ai margini dell’industria del turismo di massa che minaccia gravemente la zona del Machu Picchu. L’altitudine, il clima ostile, la posizione infelice per il transito di ricchezze che mosse gli appetiti europei, hanno preservato tanto di quella cultura inca e pre-inca che oggi si può osservare da vicino soggiornando in una delle famiglie che popolano le isole, del tutto prive di strutture di accoglienza. Lo si può fare per esempio ad Amantani, isola di quattro chilometri quadrati per quattro, a due/tre ore di navigazione da Puno, abitata da quattromila anime. Prima di approdare sull’isola, raccolta all’ombra dei due promontori sacri del Pachamama (madre creatrice) e del Pachatata (padre creatore), è d’obbligo una sosta alle isole galleggianti, le Uros. Le si avvista facilmente dal brulichio di vita che circonda questo arcipelago flottante costruito in totora, una sorta di giungo verde-ocra che cresce copioso sulle rive del lago, mischiato a melma e detriti; lo stesso impasto con cui isolani realizzano piccole abitazioni dal tetto a capanna e le “balsas”, tipiche barche con le estremità rivolte all’insù.

Verso le isole Uros dalla penisola di Capachica. Foto di Silvia Paterlini

Lance a motore scaricano abitanti e turisti per una breve sosta sull’arcipelago dove donne in abiti sgargianti e bombetta si danno un gran da fare per vendere piccoli oggetti di artigianato locale, circondate da bambini che salutano il passaggio delle barche. Delle 26 isolette che compongono l’arcipelago, le più esposte al passaggio di imbarcazioni vivono ormai dei proventi del turismo e certo le Uros, tra le isole del Titicaca sono quelle che più di tutte rischiano di perdere la loro autenticità e quella fierezza che dà loro il nome: Uros vuol dire “popolo indomito”.

L’atmosfera cambia proseguendo oltre nella navigazione del lago. Dopo le Uros si esce dalla baia di Puno per raggiungere, in un paio d’ore sulla carta, l’isola di Amantani. È un tempo indicativo, perché spesso il vento forte costringe le barche a rallentare, a fare piccole deviazioni per godere del favore della corrente.
Ad Amantani, come nella vicina Taquile, ampi terrazzamenti di antica memoria inca degradano sul lago in un paesaggio arso, di rado intervallato da piccoli gruppi di povere case in mattoni, percorso come da una sorta di serpentina di sentieri lastricati in pietra o selciati; qualche macchia verde scuro segnala la presenza di eucalipti e cipressi che si stagliano sull’ocra della vegetazione pettinata da sole e vento.

Terrazzamenti Inca sull’Isola di Amantani. Foto di Silvia Paterlini

Sull’isola non c’è acqua corrente, non c’è elettricità se non grazie a qualche pannello solare, non ci sono strade. Quel che non manca è l’ospitalità degli isolani. Donne in ampie gonne colorate, strette in caldi maglioni colorati, sorridono all’arrivo di turisti alla spicciolata. Ad Amantani e Taquile, le famiglie ospitano i visitatori a casa propria per 50 soles (circa 13/15euro a notte) offrendo un letto e un piatto di papas con formaggio di capra e the di munja selvatica, la cosiddetta “menta andina”. Si può decidere anche direttamente all’imabarcadero di Puno, perché le barchette degli isolani fanno la spola per raccogliere qualche visitatore. Chi sceglie di soggiornare sulle isole deve adattarsi ai ritmi del sole, sveglia presto e buio nel tardo pomeriggio. Condividere il lento scorrere del tempo con gli abitanti delle isole, percorrere su e giù i sentieri lastricati tra cespugli di kantuta, il fiore rosa acceso simbolo del Perù, salire sulla vetta del Pachamama di Amantani e osservare da lì lo specchio del Titicaca che si perde a vista d’occhio. Un assaggio di vita vera tra i fieri eredi degli Inca.

 

In apertura donna quequa con llicla sulle spalle. Foto di Silvia Paterlini.