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“Nyiramachabelli- Nessuno amò di più i gorilla. Riposa in pace, cara amica. Eternamente protetta in questa sacra terra. Per te che è casa il luogo a cui appartieni”

Questo l’epitaffio sulla tomba della famosa e discussa zoologa Dian Fossey (soprannominata dai ruandesi “la donna che vive da sola sulla montagna”), grazie alla quale il mondo occidentale ha scoperto l’esistenza e allo stesso tempo la criticità dello stato di conservazione dei gorilla di montagna, sottospecie del gorilla orientale.

Negli anni tra il 1966 e il 1985 Fossey, grazie all’incontro con il paleoantropologo Louis Leakey e al supporto economico del fondo di ricerca della National Geographic Society, condusse diverse ricerche e programmi di adattamento alla presenza umana di alcune famiglie di gorilla di montagna in Ruanda. Nel 1967 fondò il centro di ricerca Karisoke, un campo situato nell’avvallamento tra il monte Karisimbi e il monte Bisoke, due degli otto monti vulcanici che compongono la catena dei Virunga, protetta parzialmente da un sistema di Parchi Nazionali negli stati di Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo.

A circa quattro ore di trekking dalla sede d’ingresso del Parco Nazionale dei Vulcani, il centro di ricerca Karisoke, è immerso nella foresta equatoriale, ormai dismesso e inglobato nella vegetazione, ma ancora visitabile. Dian Fossey è stata una figura controversa all’interno della comunità scientifica internazionale, sia per i suoi metodi di ricerca empirici sia per la sua militanza estrema contro il bracconaggio. Il tempo ha però dimostrato insperati risultati grazie alla sua determinazione e dedizione alla salvaguardia dei gorilla di montagna.

L’ultimo censimento del 2016 ha concluso che un minimo di 604 gorilla di montagna vive nell’ecosistema della catena dei Virunga. Un successo impensabile se comparato al numero di individui stimato negli Anni 80 del secolo scorso, pari a 240. Decenni di lavoro incessante per la protezione dell’ecosistema dei gorilla di montagna e dei singoli individui dal bracconaggio, nonché studi approfonditi sulle malattie più letali per la sottospecie, hanno portato ad un traguardo insperato.

Nel 2018, dopo il censimento avvenuto nell’altro areale dove ancora vivono i gorilla di montagna, la foresta di Bwindi-Sarambwe, si è arrivati a un conteggio complessivo della popolazione mondiale di questa sottospecie di circa 1.063 individui e lo status all’interno della lista rossa IUCN è passato da specie in pericolo critico a in pericolo di estinzione.

Da grande appassionata di natura e di conservazione della fauna selvatica, quando qualche anno fa mi si è presentata l’opportunità di fare due viaggi, a brevissima distanza l’uno dall’altro, per visitare i gorilla di montagna, ho colto subito l’occasione e ho cominciato a studiare le caratteristiche di questi giganteschi primati.

I gorilla di montagna vivono in famiglie composte dai 5 ai 30 individui, disciplinate da un potente maschio dominante dalla schiena grigia argentata. E’ lui che decide dove sostare per nutrirsi, dove fermarsi per la notte, che si accoppia con le femmine mature del gruppo e che le protegge, insieme ai maschi a lui subordinati. Ogni famiglia ha un suo territorio e nel Parco Nazionale dei Vulcani: dieci delle famiglie presenti sono state abituate alla presenza degli esseri umani e possono essere visitate.

La visita è disciplinata dalla presenza di guardie forestali e da regole di comportamento ferree: ogni famiglia può essere visitata solo una volta al giorno, per una durata massima di un’ora e solo otto persone possono partecipare all’escursione.

Un incontro ravvicinato con i gorilla esula da tutte le nozioni che ho appreso sui libri di zoologia: è un ritrovarsi con dei lontani parenti, è una meravigliosa sorpresa. E non mi stupisce che Dian Fossey abbia deciso di far diventare casa la foresta dei Virunga e farsi seppellire vicino ai suoi amici.

Foto di copertina: Marian (Adobe Stock)

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