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Una sensazione che vibra nell’aria, una musica che si fa danza, una specie di radice di appartenenza per ogni porteño, ecco il tango nella Capital Federal, città cosmopolita dalle sensazioni amplificate che solo per questo ballo, dal 2009 anche patrimonio dell’Umanità, merita un viaggio. Per saperne di più, tra indirizzi e pezzi irrinunciabili di senso, ne abbiamo parlato con Alberto Colombo, una vita nel tango, maestro e ballerino che si divide tra insegnamento ed esibizioni in giro per il mondo, ma che a Milano resta legato alla sala dell’Arci Bellezza dove nel 1994 ha aperto la sua scuola Spazio Tango. Lui in Argentina, soprattutto a inizio carriera, ci è andato per oltre sei anni di fila. «Venti anni fa quando ho cominciato, se uno voleva imparare a ballare il tango, doveva per forza andare a Buenos Aires. C’era una differenza incredibile rispetto all’Europa». Ma anche adesso che il livello del tango europeo è migliorato, Buenos Aires resta una tappa obbligata, una sorta di pellegrinaggio all’origine. «Andare in milonga a Buenos Aires significa confrontarsi con emozioni inedite. Il tango è vissuto come parte integrante della vita, non è solo evasione, ma qualcosa di catartico dove trova spazio anche la parte noir del vissuto, dalla malinconia alla tristezza, ora però sublimate nella danza».

 

Oihbò. Foto di Roberto Carretta

 

Alla richiesta di segnalarci un percorso di riferimento, Colombo ci spiega che esistono milonghe storiche, che hanno fatto la storia di questo ballo da Canning (Scalabrini Ortiz 1331) a La Confiteria Ideal già scenario di tantissimi film, a la Viruta, una milonga più grande e più giovane come pubblico, ma in generale in città sono diversi i quartieri di riferimento che pullulano di milonghe di barrio: da San Telmo a La Boca a Palermo.
Le scuole sono, invece, un concetto più moderno: in origine c’era, infatti, solo un maestro che con una modalità informale mostrava un passo e si procedeva per emulazione. Poi col tempo qualcuno ha cominciato a strutturare una didattica e una metodologia di insegnamento. Tra le tante scuole sono da segnalare il DNI, un riferimento per un tango più nuevo e aereo, lo studio El Beretin e quello del coreografo Mario Morales caratterizzato da un preciso programma di studio. Ma la verità è che c’è una grandissima disponibilità di grandi ballerini e maestri. Frequentare le scuole può anche essere un’opportunità per creare una rete di relazioni funzionale per ballare meglio in milonga.

 

Oltretango. Foto di Roberto Carretta

 

Ma come si spiega tutta questa fame insaziabile di tango, che spinge persino ad andare dall’altra parte del mondo per continuare a imparare? Le risposte sono tante, continua a spiegarci Colombo. «Il tango è l’espressione più forte del ritorno al ballo di coppia e se questa intimità dei corpi che ballano legati in un abbraccio ci ha messo un po’ per essere accettata, adesso rischia di diventare addirittura irrinunciabile, proprio perché abbiamo bisogno del contatto fisico con le persone: è un’esigenza naturale, un rifugio comprensibile». Poi oltre a una possibilità di incontro con l’altro sesso, in fondo il tango nasce per questo e non bisogna denigrarlo, a un livello diverso questo ballo è anche una pratica che consente di stare totalmente assorbiti e appagati nel presente, come forse accade solo con la meditazione. E mentre già così i motivi sembrano più che sufficienti, il maestro prosegue nell’elenco. «Altro aspetto interessante è che la milonga è un posto con regole chiare, qualcosa di consolidato: è l’uomo che invita la ballerina attraverso la mirada e un cenno del capo e quindi vai lì e ti rilassi, perché non devi instaurare nessuna forma dialettica, non sei in discussione come succede al lavoro, in famiglia, a casa». E in effetti anche questo è rassicurante. «Infine in una società gerarchica come la nostra, quando balli il tango non sai nulla di quello accanto: che lavoro fa, se è ricco o povero. Non lo sai e non ti interessa. Sai solo se balla bene o se balla male».
Il tango è davvero una possibilità di incontro trasversale, a più livelli, e andare a Buenos Aires è come cercare la propria chiave di volta per entrare in sintonia con tutta questa magia. Gli spunti sono tanti: dall’imparare ad ascoltare la musica in maniera quasi intima fino a riscoprire quell’orgoglio, tipico argentino, che diventa un’occasione per valorizzare la propria identità, per portare fuori ed esprimere ballando la propria nota personale.

Foto in apertura di Roberto Carretta.

 

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